Dioniso è un dio dalla natura ambigua. È allo stesso tempo maschio e femmina, divino e animale, umano e immortale. È un dio che muore ma è anche un dio che risorge.
Il suo potere è la follia, i suoi strumenti il vino, la musica, la danza. Gli antichi chiamavano ‘estasi’ l’effetto che Dioniso produceva nelle anime degli uomini. Estasi deriva dal greco ‘ekstasis’ e significa ‘uscir fuori di sé’. Un’uscita che può condurre a un senso di beatitudine, ma anche in un mondo da incubo in cui l’uomo si perde per sempre.
Dioniso è anche il dio dalla doppia nascita. Sua madre era Semele, una delle figlie di re Cadmo – fratello di Europa, che fu rapita da Zeus, fondatore di Tebe e marito di Armonia – e di Zeus. Il padre degli dèi, conscio che una mortale come Semele non sarebbe sopravvissuta alla vista del suo vero volto divino, la incontrava ogni notte imponendole di non guardarlo. Era, come sempre gelosa di suo marito, indusse con l’inganno Semele a pretendere che Zeus le si mostrasse. E il dio acconsentì, causando all’istante la morte di Semele e riducendo in cenere l’intero palazzo reale. Semele era incinta di pochi mesi e Zeus, appena prima che la donna finisse incenerita, le strappò dal ventre il bambino incompiuto, si squarciò una gamba e vi accolse il feto, fino al giorno della nascita.
Era, però, non rinunciò all’idea di liberarsi di questo bambino frutto dell’ennesimo tradimento del marito e scatenò i Titani contro il piccolo Dioniso. E il bambino tentò di salvarsi ricorrendo a un altro dei suoi poteri, la metamorfosi. Si trasformò in leone, in cavallo, assunse le sembianze di un serpente e quelle di una tigre, diventò anche un toro, ma alla fine i Titani riuscirono a ucciderlo, facendo a pezzi il suo corpo. Zeus, però, ricompose il corpo straziato del figlio e lo restituì alla vita.
Dioniso è anche un dio vagabondo e fa sentire ovunque la sua presenza. Viaggia a volte da solo ma spesso accompagnato dal suo corteo, composto soprattutto da donne: le ‘seguaci di Bacco’, le baccanti. Lui non domina le donne, le ama. Si identifica con loro. Ed è un dio democratico: non ammette barriere di sesso, di età o di censo. Tutti si mescolano nei suoi riti.
Dioniso è anche un dio che si innamora raramente e, quando accade, mostra grande fedeltà. Ben nota è la sua storia, e le inevitabili diverse versioni che contraddistinguono il mondo dei miti, con Arianna, ma interessante è anche quella che lo lega a Erigone, la figlia di un pastore che accolse il dio nella sua umile casa, in un borgo oggi chiamato Dionysos, dove il dio si manifestò per la prima volta agli ateniesi.
Interessante perché l’epilogo di questa storia ha forse a che fare anche con il nostro albero di Natale.
È una storia di accoglienza e di generosità, di amore e di vendetta. Una vendetta, quella di Dioniso, che come sempre è raffinata e crudele. La sua arma colpisce le menti, la follia che si impadronisce delle sue vittime è implacabile e mortale.
Ikarios era un pastore poverissimo ma accolse questo viaggiatore solitario e misterioso nella sua casa, dove il nostro Dioniso finì per innamorarsi della bella Erigone. Ma Dioniso è e resta un dio vagabondo e, quando dovette riprendere i suoi viaggi, lasciò in dono al pastore un otre di vino. Nessun uomo, fino ad allora, aveva mai assaggiato nulla di simile. Ikarios condivise il dono con i suoi compaesani, i quali lo accusarono di averli avvelenati e lo uccisero a colpi di bastone, lasciando il suo corpo ai piedi di un albero. Erigone trovò il corpo dell’amato padre e si impiccò a quello stesso albero, ma prima di morire gridò il nome di Dioniso, chiedendogli di vendicarla e di punire gli assassini del padre.
Dioniso udì la supplica della sua amata e tornò nel borgo di pastori. La follia si diffuse e le ragazze ateniesi, come ipnotizzate, una dopo l’altra si impiccarono agli alberi. Gli ateniesi chiesero aiuto alla sacerdotessa profetica del tempio di Apollo a Delfi, la Pizia, la quale riferì loro che avrebbero dovuto punire gli assassini di Ikarios e, da allora in avanti, rendere i dovuti onori a Dioniso.
I pastori omicidi furono puniti e ad Atene fu istituito un rito per conservare in eterno la memoria di Erigone: l’aiora, la ‘festa dell’altalena’. Una volta all’anno, all’inizio della primavera, le ragazze di Atene si dondolavano con le altalene che venivano appese agli alberi.
Poi, si prese l’usanza di appendere ai rami degli alberi dei piccoli pupazzetti e lasciarli penzolare.
Un rito che si diffuse anche a Roma, dove i pupazzetti venivano chiamati ‘oscilla’, cioè ‘piccole facce, faccette’: da lì deriva, in italiano, il verbo ‘oscillare’.
Quando decoriamo il nostro albero di Natale, un lontano ricordo di quei riti riecheggia fino a noi e, seppure inconsapevoli, offriamo nuova linfa alla memoria di una ragazza che, vinta dal dolore per la perdita del padre, pose fine alla sua vita impiccandosi a un albero, ma fu vendicata da un dio innamorato e straziato dal dolore.